3000 metri di Paolo Cavallanti*
Siamo nella camerata del rifugio Vicenza, ai piedi del Sassolungo e la sveglia che suona alle 6.30 di una domenica mattina di inizio luglio anticipa di poco i raggi di sole che illumineranno le guglie del Sassopiatto in questa fantastica giornata.
“Nininininininina, nininininininina….” maledetti Nokia e la loro suoneria.
Scricchiolare fastidioso di sacchetti di plastica, fortuna che tra poco li aboliranno e la gente imparerà a farne volentieri a meno….
Cerco di schivare, ma inutilmente, il solito personaggio che gira per la camerata con l’imbrago già indossato “tling-tleng” e lo zaino pieno trasportato distrattamente su un solo spallaccio...“Mi scusi”, dice urtandomi in pieno, “Prego… di niente…!”.
Colazione abbondante come sempre, thè caldo, pane fresco e marmellata.
Daniele mette anche il burro, dice che gli piace così.
Ore 7.30: saldiamo il conto e dopo aver salutato Walter, il simpatico gestore, con una calorosa stretta di mano ci incamminiamo verso la nostra meta.
Saliremo il Sassopiatto per la ferrata Schuster.
Il sentiero che si inerpica poco a poco verso le quinte rocciose davanti a noi è particolarmente ripido all’inizio e si fa subito sentire regalandoci un bel fiatone, segno che in montagna non bisogna correre.
Attraversiamo ancora parecchi campi di neve: l’inverno appena passato è stato particolarmente generoso da queste parti e si vede. In particolare la zona dove si trova l’attacco della ferrata è ancora ben coperta dalla neve che rende ancora più suggestivo l’ambiente che ci circonda.
Davanti a noi il gruppo di amici che hanno pernottato con Noi al rifugio, regalandoci racconti di incredibili avventure alpinistiche. Qualcuno avanzando canta, qualcun altro sbuffa per la fatica. Tutti sono immersi nella coscienziosa marcia di avvicinamento alla parete, sfavillanti nei loro capi di abbigliamento dai colori sgargianti che forniscono un forte contrasto con il tono ocra e marroncino della dolomia che ci circonda.
In lontananza una cordata si appresta a salire la Torre Wessely… bravi!
Poco prima di arrivare alla base della parete ci mettiamo il casco e indossiamo gli imbraghi con il kit da ferrata. La sicurezza non ha prezzo.
Un attimo di riposo su un sasso dalla curiosa forma di tartaruga e via…
Cominciamo a salire in conserva.
Fa caldo e Daniele mi fa cenno di fermarmi per togliersi il sottopile. Acconsento e ne approfitto per scattare qualche foto, il sole è già alto e comincia a far sciogliere la neve ancora abbondante sulle cenge e nei canali.
Il tempo oggi è meraviglioso “La meteo ci ha proprio preso, complimenti” penso tra me e me mentre tutt’intorno è un luccicare di guglie e di pareti.
“Sasso, sasso !!” urla qualcuno… accidenti, effettivamente bisogna stare attenti.
Nel frattempo abbiamo superato tutti. Daniele è veloce e mi segue fedelmente.
Nella parte alta c’è ancora molta neve ed in particolare l’attraversamento di un ripido canale mi suggerisce di legarci per precauzione. Estraggo la corda dalla zaino e, con un gesto ripetuto mille altre volte, procedo alla legatura della cordata.
Questa volta però è diverso, molto diverso.
Più in alto una cascatella ci saluta gioiosa.
Beviamo l’acqua che scende dalla roccia usando le nostre mani a mò di mestolo, che bello.
“Fai attenzione, perché qua è esposto….!” dico a Daniele, ma mi rendo conto che oggi non serve, oggi potrebbe salire ovunque.
Chissa’ perche’ mentre risaliamo le balze rocciose del Sassopiatto che si perdono nel cielo blu cobalto mi risuona in testa la melodia di una canzone dei Pink Floyd “The thin ice”: Mama loves her baby and Daddy loves you too and the sea may look warm to you babe and the sky may look blue…
Man mano che saliamo Daniele dimostra di trovarsi a suo agio con l’utilizzo dei moschettoni. Sembra che ci sia già passato altre volte tanto riesce a districarsi così bene tra un cambio di mano da un cavo all’altro.
Nonostante abbiamo già fatto qualche facile salita su roccia insieme questa è la sua prima grande esperienza in ambiente… e che ambiente!
A tre quarti della salita la statua della Madonnina ci invita una sosta per un pensiero ed una preghiera di ringraziamento. Mangiamo del cioccolato. Il più è fatto ed ora manca solo di risalire un canale fino allo spallone sotto alla vetta dove si congiunge anche il sentiero che proviene dalla Via Normale.
Quasi al termine del canale mi fermo.
L’istinto mi suggerisce di chiedere a Daniele se se la sente di proseguire da capocordata per gli ultimi metri fino alla vetta.
Il Dani annuisce, senza dire nulla.
Nei suoi occhi noto una strana luce, un lampo di gioia.
In alto è tutto un vociare di gente, qualcuno saluta, molti guardano ammirati la sua progressione, lenta ma sicura.
Dieci metri, quindici metri, venti metri…. “Sosta!”… e come ogni buon capocordata che si rispetti mi recupera con tanto di assicurazione intorno ad un fittone.
Lo raggiungo e facciamo gli ultimi metri vicini. Nessuno tra noi due parla.
La tensione si stempera e anche Luisa che ci ha seguito nella salita nella duplice veste di mamma e moglie ora ci affianca e si complimenta.
Ed è cosi che mio figlio Daniele, 8 anni, mi ‘trascina’ – felice - in vetta al Sassopiatto.
Immancabile stretta di mano e pacca sulle spalle.
Ci sediamo, un attimo di pausa e le immancabili foto di vetta con la croce sullo sfondo.
Il tempo di mangiare qualcosa, cambiarsi la maglietta e ripararsi da un fresco venticello dietro qualche roccetta appena sotto la vetta che è già ora di scendere verso la Val Duron.
Ci attende ancora parecchia strada fino al Passo Sella.
All’improvviso però Daniele mi chiede guardandosi intorno:
“Papà quanto è alto il Sassopiatto?” “2970 metri”, rispondo.
Nei suoi occhi mille pensieri si intrecciano in un attimo e, con la semplicità che contraddistingue tutti i bambini mi risponde sorridendo:
“La prossima volta dobbiamo andare a 3000 metri, almeno!”.
Com’è strana la vita, penso, rispondendo felice al suo sorriso.
Nel suo sguardo stanco ma gioioso rivedo il mio trent’anni addietro quando, non ancora tredicenne, diedi la stessa stretta di mano a mio Papa’, sulla vetta del San Matteo a 3600 metri. Come Daniele adesso, quel ragazzo non immaginava quanta strada avrebbe fatto nella vita.
Gli bastava solo sognare montagne più alte. Con il suo Papà.
Siamo nella camerata del rifugio Vicenza, ai piedi del Sassolungo e la sveglia che suona alle 6.30 di una domenica mattina di inizio luglio anticipa di poco i raggi di sole che illumineranno le guglie del Sassopiatto in questa fantastica giornata.
“Nininininininina, nininininininina….” maledetti Nokia e la loro suoneria.
Scricchiolare fastidioso di sacchetti di plastica, fortuna che tra poco li aboliranno e la gente imparerà a farne volentieri a meno….
Cerco di schivare, ma inutilmente, il solito personaggio che gira per la camerata con l’imbrago già indossato “tling-tleng” e lo zaino pieno trasportato distrattamente su un solo spallaccio...“Mi scusi”, dice urtandomi in pieno, “Prego… di niente…!”.
Colazione abbondante come sempre, thè caldo, pane fresco e marmellata.
Daniele mette anche il burro, dice che gli piace così.
Ore 7.30: saldiamo il conto e dopo aver salutato Walter, il simpatico gestore, con una calorosa stretta di mano ci incamminiamo verso la nostra meta.
Saliremo il Sassopiatto per la ferrata Schuster.
Il sentiero che si inerpica poco a poco verso le quinte rocciose davanti a noi è particolarmente ripido all’inizio e si fa subito sentire regalandoci un bel fiatone, segno che in montagna non bisogna correre.
Attraversiamo ancora parecchi campi di neve: l’inverno appena passato è stato particolarmente generoso da queste parti e si vede. In particolare la zona dove si trova l’attacco della ferrata è ancora ben coperta dalla neve che rende ancora più suggestivo l’ambiente che ci circonda.
Davanti a noi il gruppo di amici che hanno pernottato con Noi al rifugio, regalandoci racconti di incredibili avventure alpinistiche. Qualcuno avanzando canta, qualcun altro sbuffa per la fatica. Tutti sono immersi nella coscienziosa marcia di avvicinamento alla parete, sfavillanti nei loro capi di abbigliamento dai colori sgargianti che forniscono un forte contrasto con il tono ocra e marroncino della dolomia che ci circonda.
In lontananza una cordata si appresta a salire la Torre Wessely… bravi!
Poco prima di arrivare alla base della parete ci mettiamo il casco e indossiamo gli imbraghi con il kit da ferrata. La sicurezza non ha prezzo.
Un attimo di riposo su un sasso dalla curiosa forma di tartaruga e via…
Cominciamo a salire in conserva.
Fa caldo e Daniele mi fa cenno di fermarmi per togliersi il sottopile. Acconsento e ne approfitto per scattare qualche foto, il sole è già alto e comincia a far sciogliere la neve ancora abbondante sulle cenge e nei canali.
Il tempo oggi è meraviglioso “La meteo ci ha proprio preso, complimenti” penso tra me e me mentre tutt’intorno è un luccicare di guglie e di pareti.
“Sasso, sasso !!” urla qualcuno… accidenti, effettivamente bisogna stare attenti.
Nel frattempo abbiamo superato tutti. Daniele è veloce e mi segue fedelmente.
Nella parte alta c’è ancora molta neve ed in particolare l’attraversamento di un ripido canale mi suggerisce di legarci per precauzione. Estraggo la corda dalla zaino e, con un gesto ripetuto mille altre volte, procedo alla legatura della cordata.
Questa volta però è diverso, molto diverso.
Più in alto una cascatella ci saluta gioiosa.
Beviamo l’acqua che scende dalla roccia usando le nostre mani a mò di mestolo, che bello.
“Fai attenzione, perché qua è esposto….!” dico a Daniele, ma mi rendo conto che oggi non serve, oggi potrebbe salire ovunque.
Chissa’ perche’ mentre risaliamo le balze rocciose del Sassopiatto che si perdono nel cielo blu cobalto mi risuona in testa la melodia di una canzone dei Pink Floyd “The thin ice”: Mama loves her baby and Daddy loves you too and the sea may look warm to you babe and the sky may look blue…
Man mano che saliamo Daniele dimostra di trovarsi a suo agio con l’utilizzo dei moschettoni. Sembra che ci sia già passato altre volte tanto riesce a districarsi così bene tra un cambio di mano da un cavo all’altro.
Nonostante abbiamo già fatto qualche facile salita su roccia insieme questa è la sua prima grande esperienza in ambiente… e che ambiente!
A tre quarti della salita la statua della Madonnina ci invita una sosta per un pensiero ed una preghiera di ringraziamento. Mangiamo del cioccolato. Il più è fatto ed ora manca solo di risalire un canale fino allo spallone sotto alla vetta dove si congiunge anche il sentiero che proviene dalla Via Normale.
Quasi al termine del canale mi fermo.
L’istinto mi suggerisce di chiedere a Daniele se se la sente di proseguire da capocordata per gli ultimi metri fino alla vetta.
Il Dani annuisce, senza dire nulla.
Nei suoi occhi noto una strana luce, un lampo di gioia.
In alto è tutto un vociare di gente, qualcuno saluta, molti guardano ammirati la sua progressione, lenta ma sicura.
Dieci metri, quindici metri, venti metri…. “Sosta!”… e come ogni buon capocordata che si rispetti mi recupera con tanto di assicurazione intorno ad un fittone.
Lo raggiungo e facciamo gli ultimi metri vicini. Nessuno tra noi due parla.
La tensione si stempera e anche Luisa che ci ha seguito nella salita nella duplice veste di mamma e moglie ora ci affianca e si complimenta.
Ed è cosi che mio figlio Daniele, 8 anni, mi ‘trascina’ – felice - in vetta al Sassopiatto.
Immancabile stretta di mano e pacca sulle spalle.
Ci sediamo, un attimo di pausa e le immancabili foto di vetta con la croce sullo sfondo.
Il tempo di mangiare qualcosa, cambiarsi la maglietta e ripararsi da un fresco venticello dietro qualche roccetta appena sotto la vetta che è già ora di scendere verso la Val Duron.
Ci attende ancora parecchia strada fino al Passo Sella.
All’improvviso però Daniele mi chiede guardandosi intorno:
“Papà quanto è alto il Sassopiatto?” “2970 metri”, rispondo.
Nei suoi occhi mille pensieri si intrecciano in un attimo e, con la semplicità che contraddistingue tutti i bambini mi risponde sorridendo:
“La prossima volta dobbiamo andare a 3000 metri, almeno!”.
Com’è strana la vita, penso, rispondendo felice al suo sorriso.
Nel suo sguardo stanco ma gioioso rivedo il mio trent’anni addietro quando, non ancora tredicenne, diedi la stessa stretta di mano a mio Papa’, sulla vetta del San Matteo a 3600 metri. Come Daniele adesso, quel ragazzo non immaginava quanta strada avrebbe fatto nella vita.
Gli bastava solo sognare montagne più alte. Con il suo Papà.
* Istruttore di
Alpinismo, Scuola “Dodi”, Cai Piacenza
Segretario sezione Cai Codogno (Lo)
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